martedì 19 aprile 2011

INTRODUZIONE ALLA PRESENTAZIONE E ALLA TRADUZIONE DELLE FUTUHAT AL-MAKKIYYAH.

Michel Vâlsan



Lo Sceicco al-Akbar Muhyu-d-Dîn Ibn ‘Arabî, nato nel 560/1165 a Murcia (Spagna)e morto nel 638/1240 a Damasco, è l'autore più importante del Tasawwuf e uno di più abbondanti di tutta la letteratura araba.

I suoi scritti si catalogano in centinaia e certi raggiungono delle dimensioni imponenti. Un Ijâzah(licence di insegnamento, conferitagli dal Sultano Al-Muzhaffar Bahâ'u-d-Dîn al-Ayyûbî, nel 632/1234, dunque sei anni prima della sua morte, porta un elenco di 290 titoli (1), e l'autore dice che "ha fatto menzione solamente di quelli di cui si è potuto ricordare, perché ce ne è un grande numero: dai più brevi, della dimensione di un quaderno, ai più voluminosi che superano i cento tomi. " Alcuni autori hanno stimato che i suoi lavori sarebbero dell'ordine tra i 400 ai 500 titoli; si è parlato anche, probabilmente per iperbole, di 1 000 lavori.

In effetti, secondo l'inventario di Brockelmann, basato sui cataloghi delle biblioteche pubbliche e le edizioni stampate, si attesterebbe, ad oggi,l'esistenza di 239 lavori, cifra che bisogna ancora ridurre a causa di doppi titoli ripresi separatamente per un stesso lavoro o di erronee attribuzione allo Sceicco al-Akbar, di lavori che appartengono ad altri autori. Lasceremo volentieri ad altri il compito di determinare l'elenco dei lavori scritti dallo Sceicco al-Akbar, e di stabilire l'inventario di quelli attestati nei manoscritti conosciuti o nelle edizioni fatte fino qui. Ciò che è già evidente, sono l'immensità e la varietà di questa opera che, in paragone coi lavori di altri autori del Tasawwuf, è studiata insufficientemente fino qui del fa anche nelle sue dimensioni (2). Ora, ciò che domina in questa opera, sono les Futûhât, lavoro enciclopedico costituente la sintesi dell'insegnamento dello Sceicco al-Akbar, consistendo in 560 capitoli di superficie molto varia, tra cui alcuni hanno le proporzioni di un grande volume. Nell’edizione delDâru-l-Kutubi-l-‘Arabiyyati-l-Kubr(Il Cairo 1329/1910), le Futûhât sono ripartite in quattro grossi volumi con i seguenti numeri di pagine: 763 + 804 + 567 + 571 = 2705 pagine, formato A4(3) . Questo equivale all’estensione di 300 trattati ordinari dello stesso autore, perché la maggior parte di questi sono in una dimensione di otto pagine stampate in A4, o venti pagine di un'edizione in-8° scritta serrata (4) . Questo per dire che si ha in questi volumi altrettanta materia che negli altri scritti dello stesso autore attestati esistenti oggi nei manoscritti (5) o stampati.

Questa importanza risulterà ancora meglio se si tiene conto che molto dei piccoli o dei grandi trattati sono stati ripresi dall'autore, parzialmente o integralmente, nella cornice delle Futûhât durante la redazione, che si prolunga per più di trent' anni della seconda metà della vita dello Sceicco al-Akbar (6), assorbendo progressivamente gli elementi degli scritti paralleli. A parte questo, negli altri trattati si trovano numerosi rinvii alle Futûhât, così che gli altri scritti sembrano essere gli allegati naturali di quest’opera capitale e sintetica dell'insegnamento spirituale dell'islam.

La ricchezza e la varietà di contenuto delle Futûhât è senza uguale: si trova delle esposizioni di dottrine metafisiche, teologiche e giurisprudenziali, di cosmogonia e di cosmologia, sulla Scienza delle Lettere, sulla costituzione dell'essere umano, un escatologia molto evoluta, lo studio dei riti istituiti, delle pratiche e delle tecniche spirituali, degli "stati" (ahwâl), delle "dimore”(manâzil), delle "degnazioni" (munâzalât), delle "stazioni" (maqamât), delle tipologie spirituali profetiche, le categorie e le funzioni esoteriche, delle considerazioni cicliche ed apocalittiche. Alcuni di questi punti sono eccezionalmente sviluppati, come le parti sui gradi del Soffio Rahmânien, i Nomi divini, i mezzi incantatori (hajîrât), i Poli, ecc.
Non c'è quasi punto dell'insegnamento tradizionale islamico, tanto exoterico che esoterico che non abbia trovato un posto in questa "Summa", e tuttavia le Futûhât sono tutt’altro che un lavoro didattico o una compilazione. Tutto è profondo e sapiente, ma tutto è basato "sulla conoscenza intuitiva e diretta" dell'autore, bi al-kashf, come afferma lui stesso, aggiungendo che non si riferisce a ciò per attestare il suo merito ma per ciò che altri potrebbero dire sugli argomenti di cui parla. Per le cose "inedite" che rivela di abitudine, non manca di sottolineare che è il primo a parlarne. In tutti i campi e su tutte le materie, lo Sceicco al-Akbar esercita così un controllo sull'insegnamento dei suoi predecessori che conferma o rettifica, ma che illumina sempre di una luce nuova.
Appare così come lo studio dell’opera dello Sceicco al-Akbar debba essere centrato su quella delle Futûhât. Ora, considerando la ricchezza e la superficie di quest’opera stessa, è necessario cominciare da un studio dei suoi testi preliminari, del piano delle sue materie e della sua struttura generale. Un tale lavoro comporta una traduzione di certi testi e della Tavola dei Capitoli. Stiamo realizzando questo lavoro introduttivo allo studio dei Futûhât e nello stesso tempo all'insieme del opere dello Sceicco al-Akbar.

1-[l'Ijâzaha è stato pubblicato da Badawî con il titolo: Autobibliografía di Ibn ‘Arabî (Al-Andalus, Vol. 20, Fasc. 1, pp. 107-128, Madrid-Granada, 1955. L'altro "autobibliographie", il Fihris, è stato pubblicato da Korkis ‘Awwâd, Rivista dell'accademia araba di Damasco, n° 3-4, 1954; n° 1 di 1955 e supplemento n° 2-3, 1955, e per ‘Afîfî, Rivista del Facoltà di Lettere dell'università di Alessandria, 1954, VIII). Queste edizioni sono stabilite sui manoscritti originali o più vecchi, e si noterà, d’altra parte, che il numero di lavori menzionati varia considerevolmente secondo i documenti consultati.]


2-[nel 1964, Osman Yahia ha censito 846 scritti attribuiti allo Sceicco al-Akbar sotto 1590 titoli, Storia e classificazione del Opere di Ibn ‘Arabî, pp. 547-600; certi di questi scritti sono dubbi o apocrifi, ibid., pp. 74-75.]

3-per dare un'idea di ciò che ciò costituisce, diremo che se si conta quattro pagine di testo francese in-8° per una pagina dell'arabo in-4°, la traduzione dell'insieme delle Futûhât si distenderebbe su più di 10 000 pagine! [L'edizione critica di Osman Yahia conta 14 volumi (1972-1991); ma si ferma al capitolo 161 compreso. Un'edizione completa in otto volumi è stata pubblicata a Beirut nel 1994.]

4-Cf. la recente edizione di Hyderabad (Decan, 1948 che presenta, in due volumi in-8°, 29 questi trattati di dimensioni ordinarie, vanno dalle 7 alle 92 pagine con una composizione molto distanziata negli anni [oramai riuniti in un volume sotto il titolo Rasâ'il].

5-parliamo di quelli che sono attestati secondo i cataloghi delle biblioteche pubbliche. Molto lavori che raffigurano nell'Ijâzahou negli elenchi dei bibliografi orientali e di cui non sono attestati manoscritti, devono trovarsi nelle biblioteche private o nella mano degli uomini della Via, soprattutto quando si tratta di trattati "riservati" per certi categorie iniziatiche.

6-esattamente dal 598/1201 fino in 629/1231, ma un secondo esemplare scritto a mano dall'autore fu finito nel 636, due anni prima della sua morte, e come dice lui stesso nelle ultime righe, "questa nuova copia autografa contiene delle aggiunte rispetto alla prima. "




domenica 17 aprile 2011

LA GHIRLANDA DELLE LETTERE

A. Avalon

CAPITOLO I - VAK O LA PAROLA



La parola vak (in Latino Vox) deriva dalla radice Vach che significa“Parlare”. Il nome femminile Vak pertanto significa letteralmente sia voce sia suono, anche nel caso in cui il suono sia un rumore emesso da oggetti inanimati. Ha perciò lo stesso significato dell'altro termine utilizzato in sanscrito per indicare un suono: Shabda. Quest'ultimo termine spesso è usato in correlazione alla parola Artha che è l’oggetto indicato dal suono, mentre Pratyaya è l'apprendimento mentale che avviene tutte le volte in cui la mente ritiene l’immagine di un oggetto (fisico o psichico) e l'associa ad un determinato suono o parola.

SHABDA = SUONO
ARTHA = OGGETTO
PRATYAYA = ASSOCIAZIONE MENTALE TRA UN DETERMINATO SUONO O PAROLA ED UN OGGETTO.

Tutto questo succede sempre su tre diversi livelli di profondità:

PARA = SUPREMO O CAUSALE. COMPRENSIBILE ALLA MENTE COME "VOLONTÀ DIVINA",
SUKSHMA = SOTTILE, RELATIVO ALLO STATO DI SOGNO O AL PIANO MENTALE DEL SINGOLO INDIVIDUO.
STHULA= GROSSOLANO. IL MONDO FISICO DEGLI OGGETTI E DEI SUONI MATERIALI.

Nei testi, quando ci si riferisce a

1. Para-Vak s'intende quello Stress Causale (Causa Prima) che, in termini di Pratyaya, è l'ideazione cosmica, l'immaginazione creativa o manifestazione d'Ishwara: questa è la “parola divina”. E' "Vak".

Vak è anche un effetto, sottile o grossolano:

2. Pashyanti-Vak è Vak che si produce come Ikshana (Colei che vede), e si manifesta, come sukshma (sottile)

3. Madhyama-Vak, o shabda di Hiranya-garbha, sono le matrika dello shabda come esistono nell’uomo prima della loro manifestazione grossolana come lettere (varna)

4. Vaikhari-Vak è il discorso parlato.

Nel Rgveda, Sarasvati (V. 43 II) è chiamata Paviravi o figlia del Lampo, ossia, “del grande Vajra, colui che sostiene i mondi”. Il discorso parlato è manifestato nel mondo della materia dal suono fisico o Dhvani prodotto dagli organi vocali sull'aria circostante dallo sforzo del parlare.

Nel Brahman trascendente ed inerte (Paramātma) o Paramashiva non ci sono né Shabda, né Artha e nemmeno Pratyaya, di conseguenza che non ci si trovano né nome (Nama) né forma (Rupa). In questa Calma Infinita sorge quel “punto di stress metafisico” detto Bindu o Ghanibhuta Shakti che si produrrà come le forze multiple dell'universo. questa “energizzazione” è la causa degli Jivatma (degli io che vivono l'illusione della separazione) e, per i Jivatma, è l'esperienza del mondo nella sua dualità di soggetto ed oggetto. Questo è il “Gioco” di Shakti nell'Etere di Coscienza, in questo modo ciò che è Trascendente ed Immanente sembra come cancellato quando la seconda condizione appare. Questa è la creazione (Srishti) o, più propriamente l'apparente sviluppo della manifestazione.

Per definire "Shristi", si usa la locuzione "creazione del o dei, mondo/i operata dal brahman". Frase che non esprime pienamente questo processo. La creazione, nel senso cristiano esclude la nozione che Dio sia una causa materiale, essendo il “creato” uscito fuori da una preesistente materia amorfa, non fuori dalla sostanza divina. La creazione coinvolge anche un aspetto d'assoluta novità (prima non esisteva nulla al di fuori di Dio). La parola "creazione" si usa solitamente con queste riserve. L'Atman, nella forma di questo potere (Shakti), sviluppa la sua potenzialità (Prasarati). Questa Srishti sopporta un tempo (Sthiti) che è detto giorno di Brahmā dopo di questo c'è, secondo alcuni, un completo Riassorbimento nel Sé della manifestazione (Mahapralaya): così com'è cominciata, dovrà finire.

Altri affermano che non ci sia un tale Mahapralaya, che qualche universo sia sempre esistito, sebbene un mondo od un altro possano essere scomparsi. Durante il momento in cui è in atto questo Riassorbimento il secondo stato, quello dello sviluppo della manifestazione, sarebbe contenuto in potenza nell'indifferenziata e non manifestata Maya Shakti.

Lo Shabda-Brahman è il giubilo della felicità di Shiva. Prorompe come se già fosse nell'eterna Calma sempre-esistente, come il rumore delle onde sul calmo bacino dell’oceano, o come lo spruzzo di una fontana che cade di nuovo nelle acque da cui proviene. Questo concetto della "parola divina" è molto antico. Nella Bibbia Dio "parla" ( Fiat Lux) e grazie alla sua Parola la “Cosa” appare. Così la parola israelitica per Luce è " Aur”. La Genesi dice: ”Dio disse: Sia la luce (Aur) e Luce(Aur) fu. La Parola Divina è concepita nelle Sacre scritture degli Ebrei come un potere creativo.

Una fase di pensiero più vicina a noi mostra un aspetto del Sé Supremo quale Persona che crea. Così noi abbiamo il Sé Supremo ed il Logos: Brahman e Shabda-Brahman. In greco, Logos vuole dire il pensiero e la parola che denota l'oggetto di pensiero (come il termine Aparashabda). Per Eraclito, Logos era il Principio a cui è sottoposto l'universo . Per gli Stoici era l’anima del Mondo: il principio che unisce tutte le forze razionali che lavorano nel mondo. Secondo Platone, il Logos era l’immagine primitiva e super-sensoriale o modello, delle cose visibili. Filone Alessandrino, influenzato dal Platonismo e dalle altre filosofie elleniche, combinò tra loro queste due concezioni. Lesse nel Vecchio Testamento e nella Teologia ebrea di un Essere intermediario fra il Dio Creatore e l'universo molteplice. Questo intermediario era il Logos.

Secondo Filone, le Idee plasmarono la Materia. Dio produsse prima il mondo intelligibile delle Idee che erano “modelli” del mondo fisico. Benché in se stesso non fosse nulla, il Logos fu l'autore del mondo ideale. Nel modo in cui un architetto progetta nella sua mente il piano di una città e così produce la vera città secondo l'ideale, così Dio agì quando creò il mondo attuando questa Megalopoli.

L'Autore del quarto Vangelo adottò queste idee dandogli però espressione in modo di rendere servizio alle necessità teologiche cristiane. E’ stato affermato che l'adozione di questa nozione nel testo di S. Giovanni non era una mera copia, ma un libero adattamento ed una Cristianizzazione dei Logotipi di Filone. Secondo l'Evangelista, il Logos è una Persona che era di fronte alla creazione ed, egli stesso, Dio. È la Potenza della Saggezza Esterna che procede dalla Divinità non manifestata per lo scopo dell'attività del mondo e nel mondo, è il Logos Endiathetos o la saggezza divina ed immanente. Il Logos, attraverso il quale fu creato il mondo, divenne carne (Avatara), fu manifestato come uomo (Verbum caro factum est). Lui è il Figlio che è Gesù Cristo, colui che nella pre-esistenza paradisiaca era stato chiamato il Logos e che, dopo la Sua incarnazione come uomo, Gesù. Il Cristo, che non era né profeta né superuomo ma Purnavatara di Dio.

Il Logos è la rappresentazione perfetta di Dio nel Figlio. In Gesù c'era identità di essere con Dio. Il quarto Vangelo apre in modo imponente, "all'inizio era la Parola, e la Parola era con Dio, e la Parola era Dio". Queste stesse parole sono dette nei Veda: «All'inizio c'era il Brahman, con Lui c'era Vak o la Parola».

Questa viene descritta come se fosse un secondo Ente, perché ella esiste solo potenzialmente nel Brahman incondizionato, da cui viene "emessa" o determinata come Shakti: "e la Parola è Brahman".

Vak è così una Shakti o il Potere del Brahman che è uno col possessore del Potere (Shaktiman). Questa Shakti che era in Lui alla creazione, è sempre con Lui, si evolve nella forma dell'Universo pur restando inalterata come Shakti Suprema. È sempre possibile che il pensiero umano possa svilupparsi indipendentemente in modi molto simili. Non è nemmeno del tutto improbabile un'influenza dell'India sul mondo occidentale, tale che i seguaci di Filone ed i Neo-platonici e le stesse concezioni di San Giovanni fossero, almeno in parte, indebitate con un'origine indiana, ma nonostante ci siano punti generali di somiglianza, ce ne sono altri di differenza per i quali l'accuratezza esige attenzione. Così il Brahman è la causa di materiale del mondo, mentre il Logos cristiano no. Per il Cristianesimo sarebbe un dualismo. Vak non è una Persona della Trinità . Vak stessa è la Madre della Trimurthi che è Brahma, Visnù e Rudra. Perchè Lei è la Shakti Suprema, una cosa sola con il Brahman, unca ed indistinguibile. La piena incarnazione è un concetto dell'Induismo, ma nella forma di Jiva, Vak non è solamente l'incarnazione di una persona storica ma di tutti gli uomini, esseri e cose. La Parola come Vak divenne carne, non in una particolare data od in un particolare luogo o persona storica. Apparve ed ora appare nella carne e nelle altre forme di materia ed in tutti gli esseri limitati o Jiva, ognuno dei quali può direttamente, attraverso i Veda realizzare direttamente il Brahman, che è Shakti , che è la parola di Vak. Nel Cristianesimo, solo Gesù era Dio in forma umana. Gli altri non lo erano, non lo sono e mai non potranno diventare Dio. Vak manifesta se stessa – che è il Brahman, in quell'esperienza spirituale che è il Veda. L'universo è la conseguenza del Desiderio Divino (Kama = amore) o della Volontà (Iccha). Kama sul piano fisico denota fra le altre cose, il desiderio sessuale: nel senso più alto è il primo impulso creativo dell'Uno nel voler diventare molti, in questo modo si moltiplica in tutte le creature. Desiderio terreno ed impulso di riproduzione sono però solo manifestazioni limitate di quell'impulso primario. La Volontà divina lavora continuamente ed in ogni momento attraverso il desiderio sessuale ed individuale per mantenere stabile la creazione dell'universo. Il Kama divino è eterno ed è l'origine di tutte le cose. Così Parmenide che parla d'Eros o Amore, disse: "Prōtision mĕn ěrota theūn nětīsato panton". (Lui concepì Eros, il primo di tutti i Dei). Questo è l'Eros divino attraverso il quale le cose sono in divenire; (Platone Symp. 5-6). La Figlia di Kama è Vak. Costei, come Volontà divina, parla la Parola Divina, grazie alla quale l'universo esiste. Nell'Atharvaveda (IX-2) Kama è celebrato come un grande Potere, superiore a tutti i Deva. La Figlia di Kama è chiamata “La Vacca che i saggi chiamano Vak-virat, ” questa è Vak nella forma dell'universo. All’inizio c'era il Brahman e con Lui era Vak. Nel Veda è detto: - questo Essere (Prajapati) disse volendolo “Possa io essere molti. Possa io essere propagato.” Così stimolò la sua energia: Vak, Lei fu prodotta da Lui e pervase tutto ciò che esiste.". Sempre riguardo a Vak è detto: - Nella sua mente, lui (Prajapati) si unì con Vak che così divenne incinta. Nel Kathaka è scritto: " A quel tempo esisteva solo Prajapati. Vak era un secondo se stesso. Lui si unì con Lei e Lei divenne incinta. Lei divenne “altro” da Lui e produsse tutte le creature per poi rientrare nuovamente in Lui " Di nuovo nel Panchavimsha Br. (XX-I4-2) è detto similmente: “Prajapati era solo in questo universo. Vak era con lui come un secondo se stesso. Cosi egli pensò, ora manifesto Vak e lei animerà tutte le cose pervadendole”. Così il Brahman o Shiva volle essere molti e la sua Shakti che era uno con Lui, fu emessa come sua prima Parola.

L'Unione del Volere e della Parola era la potenza della creazione, tutte le cose erano presenti nell’indifferenziata massa del Grande Utero (Mahayoni) della Madre di tutti (Ambika). Questa Potenza divenne attuale, quando l'universo fu manifestato, ed alla sua dissoluzione Shakti, come tutto l’universo rientra nel Brahman e rimane uno con Lui (Chit) come Chidrùpini. Nel frattempo Lei pervade, come Spirito immanente, la mente e la materia che sono le Sue forme temporali. Nella Brihadaranyaka Upanishad (pp. 50-53, ed. Roer) è scritto: " Da Vak e Atma furono create tutte le cose, i Veda, i metri poetici, i Sacrifici e tutte le Creature.” Prima fu prodotta la scienza sacra Vaidika. Nel Mahabharata Sarasvati come Vak è chiamata la "Madre del Veda" e lo stesso è detto di Vak nel Taittiriya Brahmana (II. 8-8-5) dove (e nel precedente paragrafo 4) si dice anche che lei contenga, nel suo interno, tutti i mondi e che sia stata invocata con Tapas (sforzo ardente, purificazione, austerità, sacrificio) dai Rishi che composero gli Inni Vedici.

Nel Bhishmaparva del Mahabharata si afferma che Achyuta (Krishna), abbia prodotto Sarasvati ed i Veda nella Sua mente, e nel Vanaparva Gayatri è chiamata la Madre del Veda, Gayatri Devi è una forma di Vak. Vak è la Madre del Veda e di tutte le cose fatte conoscere con le loro parole. Vak, nella forma di Veda, è Vedatmika VakVak è la sostanza del mondo intero; poiché esisteva prima del mondo ed è Shabdaprabhava = anteriore all'esistenza dei Veda. Nel Rig -Veda è scritto: "Io (Vak) ho creato l’uomo, io amo eccedere possente e fare di lui il Brahman, un Rishi, un Saggio - " Questa è Vak, l’iniziatrice dei Rishi, fatto che è noto agli uomini. " Col sacrificio loro seguirono il patto di Vak e la trovarono entrando nella via dei Rishi”.I Rishi chiamarono i loro Inni in vari modi; fra altri anche col nome di Vak. Tutti però sono per loro una manifestazione di Vak. Vak è una cosa sola con il Brahman, con Shiva e con Shakti. Nella Brihadaranyaka Upanishad è detto: “ Il brahman è conosciuto da Vak. Vak è il supremo Brahman”. Nel Mahabarata è scritto: ”Guarda la madre Sarasvati dei Veda che mi sopporta. Lei questa grande Shakti, è una con Mahesvara. Così nel Mangalacharana, Sayana e Madhava premisero ai loro commenti alla Rik Samhitā e Taittirìya Samhitā : “Io riverisco Mahesvara la Sacra dimora della Conoscenza, i Veda sono il suo respiro, dal Veda si formò l'universo intero". Il Taittirìya Brahmana recita: Vak è imperitura, è la prima nata di Rita (ordine celeste dell cose), madre dei Veda ed è il punto centrale dell'immortalità. Dice il Sathapatha Brahmana: “Vak è non nata.”. E’ da Vak che il creatore dell'universo (Vishvakarma) produsse tutte le creature.Diversi testi associano Vak come sua shakti, al Deva delle creature (Prajapati), chiamato Pashupati nello Shaiva Shastra. Shamkarachariya cita "Nella Sua mente Lui si unì con Vak.". Così in questo sutra, ed in molti altri versi ancora, il Veda dichiara che quella creazione fu preceduta dalla Parola, dalla quale è prodotto l'universo intero dei Deva e la vita sulla terra: organica ed inorganica. Se però si sostiene che il mondo fu prodotto dal Brahman, come si può sostenere che sia stato prodotto dalla Parola?

La creazione fu preceduta dalla Parola. Così Shamkarachariya insegna che, quando un uomo vuole realizzare un suo proposito, prima chiama alla mente il significato della parola che esprime la sua idea, poi procede nell’effettuare il suo scopo. Questa analogia per spiegare come le parole dei Veda, prima manifestarono nella mente divina e poi crearono gli oggetti quali loro risultato. Così il testo Vedico dice " Emettendo Bhùh (la terra) lui creò la terra (Bhùmi) " e così via. Questo significa che tutti i mondi e gli esseri che li popolano furono manifestati o creati dalla parola " Bhùh " in precedenza pensata nella Sua mente. Tutte le distinzioni di “prima” e "dopo" sono dette Vyavaharika. Le analogie umane sono necessariamente imperfette.

In Ishwara, inteso come Ente Causale, è presente un unico principio che, quando sarà manifestato darà luogo a Shabda, Artha e Pratyaya e che perciò li coordina. Per gli scopi dell'esposizione, noi possiamo affermare che lo Srishti-kalpana (ideazione mentale = logos) d’Ishwara è solo una frazione del Pratyaya (apprendimento mentale, associazione parola oggetto, generalmente tradotto con il termine “Causa”.) che Lui (Shiva o il Brahman) ha del suo Anandamaya o corpo causale, e interiore. Frazione che include i corpi sottili e grossolani. Il Parashabda (suono causale) di Ishwara ha come effetto ogni Aparashabda (suono non causale, causato), ed il Suo Artha è l’azione Causale che da inizio allo sviluppo di Prakriti Shakti e che è esperimentato in tutti gli elementi (Vikriti) e nelle cose che sono combinate da questi.- Ishwara ha un apprendimento diretto ed immediato dei tre livelli di esperienza:

1. manifestazione causale od informale

2. manifestazione formale sottile

3. manifestazione formale grossolana

Para Vak è perciò quello che, prima è stato definito come Parashabda, mentre

Vak (semplicemente) è

1- lo Shabda sia nello stato sottile come Matrika (Madhyama Vak)

2- lo Shabda nello stato grossolano come suono fisico (Vaikhari Vak).

Vaikhari Vak è la forma più grossolana di Vak, quella delle lettere parlate (Varna) con cui si pronunciano i Mantra.

Perché l'uomo, unico tra tutti gli animali, può parlare? Cos'è che causa la parola o il discorso e che spinge a conoscere tutte le cose nell'universo. Altrimenti, cos'è che sprona all'apprendimento mentale (Pratyaya)? Quest'ultimo letteralmente significa “andare verso”o sviluppare l'oggetto della mente. Quella causa è la Devi Sarasvati suprema, la Madre dei Veda e dei Mondi. E’ Lei che si manifesta come nome (Nama) e forma (Rupa): è l'universo, composto dal nome e dalla forma. Lei è così: la Shakti Suprema, è difficile darle un titolo, qualsiasi cosa si possa dire di lei è presa in ogni modo da una delle sue produzioni, così come ogni parola che manifesta un discorso. Lo strumento musicale (Vina), attributo di Sarasvati, denota tutti i suoni (Shabda) di cui Lei è la Madre. Bianchi sono i suoi indumenti e la bianchezza trasparente è il colore dell’Akasha (etere) e della Buddhi. Il suo nome denota “il flusso” o “il moto” (Saras). Lei è così, suprema, perché è l'attività (Shakti) dell'immobile Shiva o Brahman. E' l'unica mattatrice del mondo manifestato dalla Shakti dinamica, è dentro ed attorno al rigido Etere che apparve alla creazione col suono che ruggisce “Hang”. E' Lei che tutto sostiene in un insieme solido e ordinato e che muove l'universo intero con il suo fluire.

Secondo la scienza, l’Etere non ha le imperfezioni che noi attribuiamo alla materia È proprietà di quest’ultima quella di diventare vecchia, decadere, finire. L'energia come esiste nell'Etere rimane immutata. È l'inalterabile ed immobile Etere imperituro che è Vajra: duro, stabile, perpetuo, inalterabile. Vajra è la manifestazione statica del Brahman inalterato, in cui il Brahman dinamico, come flusso di Sarasvati scorre e si muove. All’inizio fu lo Shunya, spazio vuoto dove ogni movimento si acquieta. Come nel Bramanesimo il concetto d’Akasha è trasferito all'idea del Brahman come Chid-akasha. Così l’etereo Shunya nel monismo buddista settentrionale è considerato come sTongpa-nyid (Shunyata) lo stadio precedente l'Ultimo, oltre tutte le categorie.

Sarasvati è il brahman dinamico. Lei ed il suo “consorte”, il brahman statico o Brahma, nascono sull’Hamsa (cigno) che non è "uccello" materiale, ma il nome naturale della funzione vitale che si manifesta come espirazione(Ham) ed inspirazione (Sah), respiro o Pranabija in tutte le creature che respirano (Prani). Lei è di nuovo la Divina nell'aspetto come Saggezza e Conoscenza, è la Madre dei Veda che è la summa d’ogni conoscenza riguardo al brahman e all'Universo. Lei è la Parola della quale tutto nacque e Lei esiste in quello che è il Suo grande utero (Mahayoni). Non per nulla gli uomini adoravano Vak o Sarasvati come il Potere Supremo.

giovedì 7 aprile 2011

Lilith

IL RITORNO DI LILITH


Reintegrazione, la Donna Oscura, e l’Islam Sufi

Una prospettiva Sufi

da http://www.tradizionesacra.it/scienza_islamica_e_iniziatica.htm


Di questi tempi, uno dei più potenti archetipi il cui nome è Lilith sta rinascendo nella femminilità religiosa, esso è l’archetipo della “misteriosa” intimità femminile. Per ere è stato messo da parte, denigrato e demonizzato dalle religioni patriarcali, ma adesso viene osservato con rinnovato interesse. Chiunque stia seguendo le tracce di Lilith, potrebbe essere interessato ad apprendere come sia già stata riabilitata secoli fa sotto la maschera del Sufismo. Lilith era conosciuta dai musulmani come Layla — dal famoso poema di Layla e Majnun.
Entrambi i nomi provengono dall’antica radice Semitica che significa 'notte'. Nell’antico Accadico il suo nome era Lilitu, dalla radice L-Y-L, terminante al femminile con la -t; esso assume la forma di Lilith in Ebraico. Il nome Arabo Laylá proviene dalla stessa radice, ma ha la desinenza per forma usato del genere femminile nei nomi delle ragazze arabe.

Lilith fu senza dubbio una reminiscenza della dea dell’arcaica religione Mediorientale, la quale fu demonizzata e divenne un ricordo sotto le religioni patriarcali. La sua cattiva reputazione dipende dal significato attribuitole: "parte buia, oscura, nera". Quando una nuova religione succede alla precedente, trasforma le divinità di quest’ultima in demoni e conserva dei pregiudizi nei suoi confronti. Psicologicamente, l’archetipo di Lilith, la Dea Oscura, (conosciuta nello Shaktismo come Kali Ma) divenne il canale di sfogo in cui la nuova religione patriarcale scaricava tutte le sue frustrazioni negative contro la donna.

Layla . . . ascolta i poeti Arabi. In ogni altro componimento poetico rinunziano alla lirica e poetano all’unisono: "Oh Layl, oh Layl, oh Laaaayyyyl...." O Notte!

Vivendo in questa civiltà moderna, noi assistiamo continuamente a notti illuminate elettricamente. Ma, ponetevi nel mezzo del deserto dell’Arabia di Layla. In una notte senza luna, c’è il NULLA. Nessuna duna, nessun cammello, niente. Ogni cosa viene assorbita nell’informe.

Ciò rappresenta il non-manifestato, l’aspetto di Allah che non entra nella creazione. Rispetto al mondo, l’attributo di Dio al-Khaliq, il Creatore, è maschile. Ma la realtà di Dio non si esaurisce con la creazione, e al di là della creazione c’è il non-manifestato. Si tratta del Divino Femminile a cui i poeti Sufi si rivolgono coi nomi di donna . . . tipo Layla.

La "parte oscura"? Nel Sufismo, ’"l’oscurità" di Layla non è considerata come qualcosa di nefasta o minacciosa. Al contrario, può essere luminosa – l’esperienza della "Luce Nera" (vedasi Henry Corbin, L’uomo di luce nel sufismo iraniano). O come lo "scialle nero" del Profeta . . .che talvolta i Sufi chiamano "kali kamaliya vala" (l’avvolto nel mantello nero) nei loro qawwali (assemblea dei sufi) . I Sufi sono anche collegati al kamal poşh. . . dei Sufi ancestrali (una fratellanza mistica che esistette fin dalla preistoria e nella quale operavano insegnanti e indovini). Il tappeto della preghiera del Profeta era anche nero, come lo fu la prima bandiera dell’Islam.

Layla, secondo l’interpretazione data dai Sufi, significa potere dell’amore. È l’oscurità femminile che ama in ugual misura, che ritorna amore, che ci trascina fuori da noi stessi e ci porta alla stazione estatica (hâl) dell’amore. Essa inebria, ci rende indifferenti al mondo, sorprendenti nei propositi, ci avvolge e trattiene ancora i suoi misteri, i suoi nascondigli… . . . le sue oscurità. La sola apparizione fugace della sua realtà inebria (come quando Majnun si innamorò profondamente alla sola vista delle sue dita del piede apparse sotto l’orlo del suo abito).

Dallo studio della storia delle religioni si evince che la nuova fede ha sempre etichettato le vecchie credenze demoniache. Per esempio, nello Wyoming c’è una conformazione rocciosa elevata ad incavi verticali che gli indiani americani considerano un luogo sacro; il nome nella lingua della tribù dei pellerossa Lakota è Mato Tipila (La Casa dell’Orso). Ma l’uomo bianco non potette trovare un nome migliore di "Torre dei Diavoli." Le divinità dei Veda (deva) sono i demoni dell’Avesta (div), mentre gli dei dell’Avesta (ahura) sono i demoni dei Veda (asura). Pan per focaccia!

Nella mia vita, ho avuto l’occasione di ascoltare l'opinione di certi musulmani indiani malinformati secondo cui Kali sarebbe il Diavolo in persona. (Non si preoccupavano mai di indagare seriamente e di scoprire il significato di Kali nelle fede Shakta e reagivano emotivamente alla sua nomina.) Allo stesso modo, abbiamo sentito che gli israeliti considerano Lilith un demone. Ma che cosa ci giunge esattamente della versione originale di Lilith antecedente alle Genti del Libro? Kâli significa in lingua Urdu nero. Forse un'analogia con Kali ci aiuterebbe meglio a integrare questo concetto. Se da un lato Uma/Parvati/Durga (è l’Energia Divina o Verbo nelle sue vari manifestazioni) rappresenta il lato amoroso del Femminile, Kali mostra il lato della fierezza. Gli Shakta vedono tutti questi aspetti integrati nell’intero concetto di Devi.

Nel Cristianesimo e nell’Islam qualcosa andò storto. Gesù e Muhammad furono molto indulgenti verso le donne tentando con tutti i loro mezzi di affrancarle dall’oppressione patriarcale. Ma i loro successori riabilitarono forzatamente la misoginia maschilista. Comunque, i mistici come me orientati verso i valori spirituali della femminilità, ritengono che sia ancora possibile recuperare le originali fonti della religione restituendole un posto di prima fila.

La novità più interessante è che il Sufismo ha recuperato e reintegrato il lato Oscuro della Donna nella persona di Layla, il cui nome proviene dalla stessa radice Semitica Lilith, cioè 'notte'. Il nome di Layla sta a Dio come la “Donna Amata” sta nella poesia Sufi, ed il Suo nome rappresenta l’abbraccio positivo della notte come Madre Oscura, l'amore che distrugge e guarisce dalla paura dell'oscurità. Kali significa 'nero' e Lilith/Layla si riferisce all’oscurità della notte, il potere del definitivo Divino Femminile che dissolve ogni forma.

Dobbiamo adorare il Divino Femminile in ogni donna e non dobbiamo mai cadere nella tentazione di demonizzarla. Dobbiamo riconoscere che una certa letteratura demoniaca sia stata utilizzata per opprimere la donne al posto di esaltare la loro Shakti (energia femminile). Osservandoci profondamente all’interno potremmo essere sicuri di non reprimere il Buio Femminile evitando che si trasformi in attacchi sulle donne. La reviviscenza del Femminile sta guadagnando terreno di questi tempi, gente! La mentalità Patriarcale si sta sbriciolando rapidamente. Le Religioni non saranno più capaci di sottomettere le donne. Non c'è sulla terra una forza più potente del risveglio femminile. Il represso Oscuro Femminile rappresentato da Lilith è gia stato ripristinato, riabilitato e reintegrato dalla psiche del Sufismo. Questo esempio può essere preso in considerazione dai fautori del misticismo femminile intenti a resuscitare il significato positivo di Lilith per le donne contemporanee.



"Per Colui che creò il maschio e la femmina"

(Corano, Surat al-Layl [la Notte], 92:3).